Vita nei boschi

Esterno di Walden House in notturna

Si dice che gli alberi occupino un considerevole spazio al di sotto della superficie del suolo e che il groviglio prodotto dalle nodose radici sotterranee si estenda in misura paragonabile solo alle dimensioni della chioma. Eppure, sin da quando si è bambini, disegnare un albero equivale a rappresentare esclusivamente la sua parte emersa che, con tronco, rami e foglie, si staglia a qualche metro di altezza nella sospensione atmosferica di molecole e particelle. L’altra metà, quella sotterranea, quella davvero vitale, è come se andasse perduta. Anche di una persona non si vedono le radici che possiede, né dove le affonda. La sua storia, infatti, non è formata di certo dall’aggregazione di atomi, ma è composta dalle frequenze dei ricordi e dalle vibrazioni dei sentimenti, quell’invisibile materia del passato che qualcuno cerca, ancora in tempo, di fermare in fotografia prima che scompaia per sempre. E poi, c’è chi sente che le proprie radici valgono più di tanto altro e per questo sceglie di adoperarsi affinché tornino vive, più tangibili che mai, ben oltre semplici immagini o parole.

Qui le strade non sono molto larghe, alla vista dei fanali di un’auto appena uscita da una curva conviene rallentare e fare un po’ di spazio, ogni tanto accostare a bordo strada. I campi agricoli seguono la conformazione morbida dei rilievi e sparpagliati gruppi di alberi proiettano piccole macchie d’ombra sul terreno fino a riunirsi tutti insieme a coprire i profili dei monti. «Buongiorno» capita di sentire pronunciare con la tipica cadenza umbra, quella di chi vive nel cuore dell’Italia, per poi assistere allo scambio di qualche battuta tra persone che si conoscono da una vita e che, come al solito, incrociano i propri percorsi quotidiani. Si tratta del tipico scenario che caratterizza parte della provincia di Perugia, quella posta sull’Appennino umbro-marchigiano, a più di 600 metri sul livello del mare. Più nello specifico, è il caso della realtà vissuta tra le poche decine di edifici che sorgono nella piccola località di Casarampi, dove si respira un’atmosfera familiare e la vita sembra appartenere a un’altra epoca, sospesa in attimi di tempo lenti e rilassati, scanditi solamente dal ciclico compiersi della natura. D’estate c’è il sole che riscalda la terra, d’inverno, invece, la neve.

Per chi è nato in questo angolo di mondo, tutto assume una prospettiva diversa. Si cresce accorgendosi di aver ricevuto in dono un luogo prezioso: da adulti è chiara la consapevolezza di esserci legati in maniera viscerale. È come se il paesaggio, nella sua incontaminata bellezza, fungesse da nutrimento per l’animo e di ciò non c’è verso di farne a meno. Anche la famiglia Rampi non ne può fare a meno. Le sue origini in questo territorio si perdono guardando nel passato, dopotutto il piccolo borgo in cui vive ne ha ereditato persino il nome. Ai Rampi, però, non basta essere grati del patrimonio naturale che li circonda, non è sufficiente tramandare di generazione in generazione il sentimento che nutrono per la propria terra natale senza mai diffonderlo oltre i propri confini, per loro non è concepibile il fatto di essere gli unici a poterne godere. E questo è chiaro soprattutto ai più giovani della famiglia come Francesco, che da lì è partito per vivere altrove provando sulla propria pelle la tagliente aria delle caotiche città, così lontana da quella che fino a quel momento aveva respirato. Proprio da lui, custode di un autentico e sincero desiderio di condivisione, nasce nel 2016 una missione da portare a termine: dare forma a qualcosa che inviti le persone a vivere la propria terra e che trasmetta la sua forza anche a chi non è nato lì, tra i fili d’erba di Casarampi.

Per Francesco la soluzione è tanto immediata quanto ambiziosa e si traduce nella realizzazione di uno spazio grazie al quale offrire ospitalità a chiunque lo desideri, anche solo per una notte, ma abbracciando un approccio ancora poco esplorato e che, sul territorio italiano, suona come vera novità. Nella primavera del 2023, infatti, a seguito di sette anni di difficoltà tecniche e burocratiche, viene inaugurata una piccola struttura ricettiva destinata ad attirare l’attenzione di tanti, sia per la sua qualità architettonica, sia per l’esperienza che è possibile vivere al suo interno, a partire dalla vista offerta sul paesaggio che, da quassù, da un punto di vista insolito, appare decisamente diversa. A renderla possibile è un’ampia lastra di vetro che corre dai piedi fino oltre la testa capace di scomparire quando lo sguardo si perde in lontananza sospinto dagli infiniti dettagli del panorama. Poi, d’un tratto, eccola di nuovo a un centimetro dalla faccia, appannata dal fiato di chi ci è rimasto incollato senza accorgersene. L’atmosfera è totalizzante, gli alberi tutt’intorno sembrano più vicini che mai, tanto è inebriante l’odore del legno che satura l’ambiente. In sottofondo suona un vinile.

L’abitacolo è stato progettato dall’architetto Paolo Scoglio per accogliere una coppia di persone alle quali trasmettere una sensazione di simbiosi con la natura. Sotto i piedi, infatti, si percepiscono nitidamente i nodi legnosi, gli stessi che si distinguono sulle pareti e sul soffitto, sui gradini delle scale e sull’intera copertura esterna della struttura protesa a sbalzo sul paesaggio. Quei cinque metri di altezza, però, appaiono decisamente di più, poiché accentuati dalla posizione già sopraelevata della collina su cui poggiano i solidi pali di acciaio articolati secondo una composizione a palafitta, facendo eco all’immagine dei boschi popolati da ravvicinati tronchi mai perfettamente verticali. La scala esterna che collega i due livelli assume le sembianze dell’estensione aerea di un sentiero e fa tappa su un terrazzo dove il vento è ancora più energico, ancora più vivo. Sulla pavimentazione, invece, vibrano disegnate dai raggi del sole le ombre della vegetazione, le sagome di foglie e rami che appartengono a un’imponente e silenziosa presenza, quella di una quercia secolare che troneggia sul rilievo terroso e alla quale l’architettura si è affidata fino a inglobarsi nei suoi interstizi naturali, senza però intaccarne minimamente l’integrità vitale. Merito di ciò è da ricondurre a un intervento edilizio preciso e mirato, guidato da mappature digitali dell’albero, radici comprese, che hanno permesso all’architetto di garantirne la totale preservazione.

Intanto, attorno all’ovattato nido prefabbricato definito da linee silenziose ma altrettanto riconoscibili, la vita continua a svolgersi regolarmente. Gli abitanti del borgo non smettono di essere occupati nelle proprie attività, i campi di essere coltivati, gli animali accuditi. Il valore delle piccole cose riesce a rendere tutto più vicino, così anche un pasto, consumato insieme attorno a un tavolo più grande del solito, diventa un momento di gioiosa convivialità grazie al quale è possibile dimenticare le fatiche della giornata. Il cibo è uno dei modi più sinceri di comunicare e la famiglia Rampi lo sa bene. Per loro si tratta di un altro strumento da poter impugnare per consentire ai propri ospiti di percepire fino in fondo lo spirito del luogo in cui vivono, non più efficace, però, di quello che sono riusciti a costruire tra i rami della grande quercia e che anche Apache, il cavallo che galoppa in lungo e in largo per i prati,guarda alzando lo sguardo.

Esterno di Walden House in notturna

Ma è solo di notte che la piccola architettura di legno riserva un’esperienza ancora più magica a chi si appresta ad addormentarsi al suo interno. Distesi sul letto, la lampada si spegne per abituare gli occhi al buio, quello profondo del bosco dove la luce notturna delle città non riesce ad arrivare. Le braccia sono incrociate dietro la testa, gli occhi rivolti verso l’alto. Nulla a ostacolare la vista, davanti solo le stelle che pian piano si accendono in cielo fino ad illuminarne anche lo spicchio più remoto tanto da percepirne il contatto diretto. La musica del giradischi, intanto, riempie ancora la stanza, forse lo farà fino a che il sole non sarà sorto di nuovo, e le parole stampate sulla copertina del libro di Thoreau appoggiato sul tavolo iniziano ad essere nuovamente distinguibili: «Walden, ovvero “Vita nei Boschi”». Walden, si chiama così questa casa sull’albero.

Foto di:
Nicolò Rinaldi