Un po’ tempio un po’ mercato, sacro nei giorni delle partite, laico nelle sere dei concerti, emblema di innovazione ma assai influenzato, o forse bloccato, dalla tradizione: da quasi cent’anni lo stadio di San Siro è luogo di costume e società, nonché un inno di architettura sportiva, riconosciuta e apprezzata internazionalmente. Un’architettura che fa della sostanza il suo vero valore.
Soprannominato “La Scala del Calcio”, in riferimento al celebre Teatro cittadino, la sua nobile storia, sia architettonica che sportiva, è priva di eguali, almeno in Italia. Uno stadio che ha raccontato Milano e i milanesi per tutto il corso del Novecento, crescendo e plasmandosi parallelamente alla città, alle sue fabbriche, alla sua immigrazione, alla sua identità popolare e borghese, ai suoi imprenditori-proprietari.
C’è però un momento che, forse più di altri, ha modificato per sempre la percezione e la simbologia del tempio nell’immaginario collettivo: Italia ‘90. In previsione dello svolgimento dei campionati mondiali di calcio, il comune di Milano decide di procedere a un ampliamento dello stadio “Giuseppe Meazza” di San Siro.
Si contemplò, almeno inizialmente, l’ipotesi di costruire un nuovo stadio. Poi, per motivi economici e logistici si preferì procedere con la ristrutturazione della struttura esistente, già dotata di una riconoscibile immagine architettonica.
Dopo settimane trascorse negli Stati Uniti per studiare gli stadi più moderni e capienti del mondo, gli architetti Enrico Hoffer e Giancarlo Ragazzi, assieme all’ingegnere Leo Fenzi, firmarono il progetto di ristrutturazione. 775 i giorni a disposizione per completare l’opera. La proposta, sulla base del precedente ampliamento, quello del ’55, rispecchiava l’ideale di uno stadio-matrioska, immagine di una città che sapeva cambiare e rendersi moderna mantenendo però la sua identità originaria. Si decide di intervenire nel rispetto e nell’evoluzione dell’esistente, edificando in altezza attorno a quel primo campo di “football” il cui assetto originario, seppure invisibile, rimane ad oggi strutturalmente solidissimo.
Nuovi elementi abbracciano il nucleo originario. In particolare, 11 torri cilindriche in cemento armato a rampa elicoidale, alte ciascuna 33,3 metri, ad eccezione delle quattro angolari, dall’altezza di 68,5 metri. Esattamente quelle torri a spirale che sembrano muoversi su sé stesse nei video virali che circolano sul web – si tratta ovviamente di un, seppur impressionante, effetto ottico: a muoversi sono soltanto le persone che scendono per raggiungere l’esterno dello stadio.
Oltre ad assolvere questioni statiche, le torri ospitano le scale interne e le rampe esterne per l’accesso al nuovo terzo anello che si sviluppa su tre lati dello stadio, raggiungibile in maniera autonoma. La pendenza del terzo anello è di 37°, inclinazione che solo l’anello superiore dell’Estadio Mestalla di Valencia o il quinto anello dell’Estadio Bernabéu di Madrid raggiungono. La Tribuna Arancio rimane invece a due anelli per mancanza di spazio su via Piccolomini, che separa lo stadio dal vicino e omonimo Ippodromo. Poi un’imponete copertura che si erge sulle quattro torri angolari ed è sostenuta da un sistema di enormi travi reticolari, assemblate in cantiere e successivamente collocate con millimetrica precisione in loco, dipinte con un acceso colore rosso, da quel momento nuovo simbolo iconico dello stadio. Oltre al problema della capienza, particolare attenzione è dedicata alla sicurezza e al comfort per gli spettatori, alla volontà di rendere più agevole il lavoro di giornalisti e radiotelecronisti, nonché l’utilizzo della struttura anche per attività extra calcistiche, che permettano a quest’ultima di vivere anche durante la settimana, nell’ottica dello “stadio-teatro” e non dell’impianto dedicato a un’unica tipologia di spettacolo.
L’arena si trasforma in una gabbia, la cui dinamica ascensionale sovrasta il rettangolo da gioco, creando un ambiente unico a livello mondiale: 85.700 posti a sedere, tutti coperti da lastre in policarbonato che garantiscono un maggior comfort agli spettatori e un’illuminazione naturale al campo di gioco.
Da un punto di vista architettonico, il progetto di Hoffer e Ragazzi viene realizzato in maniera del tutto autonoma e svincolata rispetto all’organismo preesistente. Ciò permise l’esecuzione dei lavori durante due intere stagioni di campionato: nel biennio 1988-1990, infatti, Inter e Milan giocarono nel pieno dei lavori per il terzo anello, con le torri e lo scheletro della copertura in costruzione. Lo sfondo, quasi surreale, che si andò a creare fu il palcoscenico dei festeggiamenti nerazzurri per lo Scudetto vinto nel 1989.
Il nuovo San Siro viene inaugurato l’8 giugno 1990, quando i campioni uscenti dell’Argentina scendono in campo contro il Camerun nella gara di apertura del campionato del mondo. In questo momento San Siro è, per distacco, lo stadio più bello d’Italia, dall’architettura futuristica, autoritaria e maestosa. Illuminato dalle luci gialle dei lampioni, lì in quel piazzale-parcheggio deserto e desolato, un’atmosfera più da thriller che da domenica sportiva, pare un fortino chiuso e impenetrabile. “Un’astronave atterrata nella periferia milanese” come lo descriverà il Time di Londra nel 2009.