Come saprete, uno degli aspetti più stimolanti dell’affrontare analiticamente il panorama che ci circonda, è quello di andare oltre alla mera apparenza delle cose, cercando di approfondire il più possibile qualsiasi tema ci capiti tra le mani. Non è la prima volta, infatti, che cerchiamo di indagare la storia e le numerose connessioni celate dietro a oggetti assolutamente comuni che, in quanto tali, popolano la nostra quotidianità come veri e propri fantasmi: nel corso del tempo abbiamo già affrontato gli insoliti retroscena dei tombini di Giulio Iacchetti e Matteo Ragni oppure, più recentemente, quelli della tazzina da caffè illy di Matteo Thun, fino ad arrivare ad un approfondimento su tutto ciò che si può racchiudere nella definizione di design anonimo. É vero, stiamo parlando di oggetti che vediamo, usiamo e con i quali ci relazioniamo costantemente, ma proprio per la loro fissa presenza tendiamo a porli irrimediabilmente dietro al filtro dell’abitudine, forse una delle cose da cui dovremmo stare il più lontano possibile perché rischia solamente di opacizzare le esperienze vissute, di privarle di contenuto e di spedirle istantaneamente nel dimenticatoio. Oggi, però, più che di un prodotto di design è arrivato il momento di rivolgere l’attenzione ad un materiale da costruzione diffusissimo da tempo immemore: il mattone. Avete capito bene, il mattone, forse l’elemento dell’edilizia per eccellenza, porta con sé non solo un’interminabile storia, ma anche un vasto spettro di sue applicazioni che non smettono di rinnovarsi anche nella contemporaneità, rendendolo protagonista di numerose esperienze che spaziano senza limiti tra design e architettura.
Prima di tutto, però, è il caso di affrontare sinteticamente e per punti salienti la lunghissima storia del mattone, il classico parallelepipedo ceramico che tutti conosciamo. Oggi presente in una sterminata varietà di declinazioni, da quelli alleggeriti a quelli stampati in 3D in ogni misura possibile e immaginabile, il mattone nasce ed entra in uso nell’edilizia oltre 5.000 anni fa. Realizzato mescolando argilla e acqua per puoi cuocere l’impasto, vede la sua prima apparizione in Mesopotamia nel quarto millennio a.C., per poi andare incontro al suo grandissimo sviluppo grazie alla Civiltà Romana. È a Roma, dunque, che il laterizio diventa il principale materiale da costruzione delle nuove architetture, arrivando ad affermarsi come elemento identitario per l’estetica del centro nevralgico dell’Impero e conquistandosi definitivamente il propio posto nella storia. Da quel momento in avanti si è fatta grande fatica a trovare un valido sostituto del mattone, poiché la facile realizzazione, i bassi costi produttivi e la larga disponibilità delle materie prime necessarie, lo hanno reso pressoché unico nel suo genere. Anche durante tutto il Medioevo lo si è continuato a vedere non solo applicato alla stragrande maggioranza degli edifici residenziali e di minor valore, ma anche a importantissime costruzioni che hanno rivoluzionato l’architettura. É il caso della celeberrima Cupola del Brunelleschi che, innalzandosi da Santa Maria del Fiore per venire incessantemente paparazzata da milioni di turisti all’anno, gode di un fascino unico conferitole dalla propria imponenza e dal fatto che sia completamente autoportante. È sempre in questo periodo, poi, che si afferma il mattone Bolognese dalle dimensioni 6x14x28 cm, uno degli standard intramontabili e più usati di sempre.
Anche durante l’Età Vittoriana si assiste ad un boom nell’utilizzo del mattone sul suolo inglese, ancora una volta sia nella ingente presenza di abitazioni popolari nelle periferie industriali, ovvero le famose back-to-back houses – perfettamente conosciute da chi è un grande fan di Peaky Blinders – sia in architetture iconiche come la Red House (1859) firmata da Philip Webb e dal celebre designer della seconda metà dell’Ottocento William Morris. In Inghilterra, quindi, l’utilizzo del laterizio lasciato a vista è con il tempo diventato un elemento caratteristico del luogo, tanto da continuare ad essere costantemente presente ancora oggi. Uno degli esempi più interessanti in questi termini è sicuramente la Tate Modern di Londra: qui la collezione di arte moderna e contemporanea dello United Kingdom è contenuta all’interno della Bankside Power Station, un enorme edificio in mattoni realizzato tra il 1947 e il 1963, ristrutturato nel 2000 e successivamente ampliato nel 2016 grazie allo studio Herzog & de Meuron, con un progetto basato propio sulla reinterpretazione dell’utilizzo dei mattoni. In Italia, invece, il ritorno del mattone rosso a vista si è verificato soprattutto durante il ventennio fascista da un lato poiché strettamente collegato all’estetica dell’Impero Romano, del quale si voleva proiettare la grandezza sul regime, dall’altro poiché le restrizioni dell’autarchia imponevano l’utilizzo di materiali di facile reperibilità sulla penisola, escludendo in primis l’acciaio al tempo estremamente utilizzato in architettura. Infine, per citare solo alcuni degli esempi della sua presenza nel panorama culturale attuale, ricordiamo che Lego pone tutte le sue basi sul modello del parallelepipedo di argilla e sulla sua modularità e che il mattone è riuscito a far parlare di sé anche nel mondo della street culture quando Supreme, nel 2016, vi ha posto il proprio logo sopra e lo ha visto andare sold out in pochi minuti con una conseguente bufera di critiche e di meme.
Fatte queste doverose premesse storiche, ora è arrivato il momento di entrare nel merito delle più recenti e stimolanti indagini che, nel campo del design e dell’architettura, hanno visto come protagonista il classico mattone dall’inconfondibile colore rosso.
Un alveare all’interno di un mattone
Partiamo da una bellissima intuizione che lo studio di design inglese Green&Blue, fondato nel 2005 dai coniugi Kate e Gavin Christman – una coppia di designer distaccatasi da Dyson per intraprendere la propria attività – ha concepito e realizzato come continuazione della propria pratica progettuale, ovvero quella di realizzare prodotti altamente sostenibili volti a preservare la natura e favorirne il giusto benessere. Stiamo parlando di BEE BRICK, un mattone che, come suggerisce il nome, è destinato a instaurare un rapporto con le api. Non si distacca molto dalla sua versione tradizionale, se non per essere caratterizzato da numerosi fori di vari diametri lungo tutto il lato a vista. Tali aperture rendono possibile l’accesso all’interno del volume ceramico, dove si trovano delle concavità perfette per far sì che le api possano considerarlo come un vero e proprio alveare. Dal punto di vista applicativo, il prodotto è estremamente semplice, in quanto è sufficiente utilizzarlo in fase di edificazione come se si trattasse di uno normale, tanto che i comuni di alcune località inglesi, come Brighton e Hove, stanno incentivando i cittadini ad utilizzarli il più possibile poiché si sa, le api sono fondamentali anche negli ecosistemi più urbanizzati. Il BEE BRICK è direttamente acquistabile dal sito dello studio al prezzo di 30 sterline, insieme anche ad una vasta gamma di sue declinazione e ad altre varianti progettate per uccelli (SWIFT BLOCK) e persino pipistrelli (BAT BLOCK).
Trasformare macerie in mattoni
Uno dei progetti più importanti è sicuramente quello che The Mobile Factory porta avanti dal 2007 grazie al suo fondatore Gerard Steijn. L’attività ha deciso di porsi in prima linea in uno dei contesti più complessi e delicati da affrontare, ovvero quello del soccorso agli sfollati a seguito di disastri naturali o catastrofi generate dall’uomo. Con una forte spinta etica e un sentito impegno sociale, quindi, The Mobile Factory si pone come soluzione per chi, da un giorno all’altro, si trova irrimediabilmente senza casa. Il progetto prevede di costruire delle piccole abitazioni antisismiche sfruttando come materia prima le macerie e i detriti che si trovano in loco in seguito al disastro. Attraverso un avanzato sistema di lavorazione di tali materiali, estremamente compatto tanto da rientrare all’interno di soli due container – unità di facile trasporto anche per tratte intercontinentali -, si riescono a ricavare dei mattoni chiamati Q-Brixx, per forma paragonabili a dei Lego di grandi dimensioni, che vengono letteralmente montati tra loro per realizzare numerose piccole abitazioni-rifugio. In questo modo, The Mobile Factory non solo arriva in soccorso tempestivamente a migliaia di persone, ma riesce anche a ridurre il pesante impatto che lo smaltimento di tonnellate di macerie provocherebbe sull’ambiente.
L’edificio di mattoni rotti al Vitra Campus
Passiamo adesso ad un’architettura d’autore, realizzata nel 2016 da Herzog & de Meuron, lo studio citato precedentemente in riferimento al progetto per la Tate Modern di Londra. Nato nel 1978 a Basilea, grazie agli architetti Jacques Herzog and Pierre de Meuron, lo studio, che oggi conta quasi 500 collaboratori, ha messo mano all’incredibile complesso di edifici di Vitra a Weil am Rhein in Germania. Vitra, oltre ad esse un’azienda colosso nel mondo del furnishing design, nella sua base operativa tedesca ha visto nascere numerose architetture firmate dalle più grandi archistar, come Zaha Hadid o Frank Gehry, che vengono sfruttate soprattutto per realizzare eventi culturali e mostre. Tra questi spicca, rosso e monolitico, il Vitra Schaudepot, l’edificio di Herzog & de Meuron adibito a luogo di conservazione della vastissima collezione di sedute e arredamento di cui Vitra può vantare il possesso. Privo di finestre in facciata e con un essenziale tetto a due spioventi, la sua caratteristica di punta risiede proprio nell’utilizzo del mattone, qui completamente ripensato: tutti i mattoni a vista sono stati spaccati a mano sul luogo e successivamente utilizzati per innalzare gli spessi muri perimetrali, con l’affascinante risultato di creare una superficie estremamente texturizzata e assolutamente insolita se vista da vicino nel dettaglio. L’edificio, infine, è messo in dialogo con le architetture circostanti grazie ad un ampio piazzale realizzato, ancora una volta, esclusivamente in mattoni rossi.
Il sacchetto di carta stropicciata di Frank Gehry
Frank Gehry è indubbiamente uno dei nomi più importanti nel panorama architettonico ed è stato tale sin dalla sua scesa in campo come grande esponente dell’architettura postmoderna dagli anni ’70 in poi. Nel corso della sua carriera, oltre alla realizzazione delle strabilianti e iconiche strutture come il Guggenheim Museum di Bilbao, ha avuto modo di lavorare, come solo lui sa fare, anche sul mattone. Il risultato lo troviamo nel suo primo progetto australiano, inaugurato nel 2015 e noto come Dr Chau Chak Wing Building. Si tratta dell’ampliamento per la sede della UTS Business School di Sydney, un edificio che è stato subito decritto come “il più bel sacchetto di carta marrone stropicciato”. Gehry, infatti, ha deciso di affrontare il progetto da un lato rimanendo aderente al proprio linguaggio formale, fatto di superfici e linee sinuose che sfidano la fisica, dall’altro andando a riprendere proprio l’utilizzo del mattone a vista tipico delle costruzioni locali, generando quindi un risultato inedito che rende l’edificio assimilabile proprio ad una busta di carta. Tutto ciò è stato realizzato con l’impiego di ben 320.000 mattoni disposti in una maniera poco convenzionale: dalla facciata si possono vedere alcuni mattoni che sporgono irregolarmente dalla superficie ondulata, andando quindi a definire punti di interesse visivo poiché capaci di generare ombre diverse durante l’arco della giornata.
Mattoni stampati in 3D per uno store di Amsterdam
É arrivato il momento di affrontare, infine, una delle frontiere più avanzate della tecnologia: la stampa 3D. Ebbene sì, anche i mattoni possono essere stampati in 3D e a dimostrarcelo c’è un progetto di Studio RAP. Lo studio architettonico, con base a Rotterdam, è specializzato nella fusione del computational design e di innovativi metodi di fabbricazione. In linea con la loro ricerca, hanno progettato la facciata di uno store della P.C. Hooftstraat, la via punto di riferimento per lo shopping di Amsterdam. La stretta ed alta facciata è stata trattata come le sue vicine, ovvero ponendo per tutta l’altezza del piano terra una copertura in ceramica, per poi proseguire sui restanti due piani con il mattone a vista. La peculiarità, però, risiede nella realizzazione di piastrelle e mattoni che, come si accennava, sono stati stampati in 3D a seguito di una modellazione fatta in digitale per emulare i drappeggi tipici di un tessuto. I mattoni, più nello specifico, prevedono tre sfumature di rosso e in funzione dell’altezza di posizionamento sono stati più o meno “deformati”. L’effetto, visto dai render diffusi dello studio, sembra essere incredibilmente affascinante ma, per vederlo definitivamente realizzato, bisognerà aspettare ancora qualche mese.