Se si vuole indicare un decennio nella storia italiana recente che più di ogni altro si associ al concetto di utopia, quello è senza dubbio collocato a cavallo fra gli anni ’60 e i ’70. Anni di invenzioni, sperimentazioni, partecipazione collettiva e ansia di libertà, col ’68 a fare da bussola e spartiacque.
Idee estrose e radicali si impadronirono di settori quali l’arte, l’architettura e il design: una giostra di novità, effimere quanto improbabili, volte a fuoriuscire dagli schemi, scomporre gli spazi, destrutturare i codici, dentro una mappa della società che il boom economico ridelineava fra pubblicità, radio, televisione, cinema, consumismo, sessualità, emancipazione, ribellione e benessere. L’urbanistica stessa non potè che adeguarsi al mutamento in atto.
È il 1969 quando Silvio Berlusconi, che fin da giovane vanta uno spiccato fiuto nell’intuire i cambiamenti della società italiana, acquista un terreno di 712mila metri quadrati, precedentemente occupato da un’azienda agricola, con l’intenzione di farvi nascere un nuovo quartiere, di quelli che in Italia non si erano ancora visti. Ci troviamo a Segrate, piccolo comune della periferia est di Milano, che confina a nord con l’ospedale San Raffaele e a ovest con il Parco Lambro.
Il progetto, ad opera dagli architetti Enrico Hoffer e Giancarlo Ragazzi, all’epoca poco più che laureati, si ispira ai modelli olandesi del tempo e viene realizzato fra il ’69 e il ’79 dalla Edilnord Centri Residenziali, la società edilizia di Silvio Berlusconi.
Il nome scelto è Milano 2 e sulla stampa nazionale se ne parla in toni utopici, quasi messianici, pubblicizzandolo ai primi acquirenti come “un mondo a venire”. In effetti, Milano 2 si origina come un’idea pura, che non si espande organicamente da un tessuto urbano o sociale già esistente, ma al contrario si costruisce da zero su un terreno agricolo.
Un quartiere verdissimo, con oltre 40 mq di parco per ciascuno dei suoi 10.000 abitanti, e, progressivamente, la nascita di un centinaio di negozi, un centro congressi, 5 ristoranti, uno Sporting Club, 4 palestre, 7 piscine, 11 campi da tennis, un campo da calcio oggi intitolato a Raimondo Vianello, un asilo nido, 3 scuole materne, 2 elementari e una media. E poi ancora il laghetto dei cigni, un centro civico per le mostre d’arte e il mercatino natalizio organizzato dalle famiglie. Percorso per intero da vie ciclabili e pedonali che non incrociano quasi mai le strade per le automobili, le quali si collocano a un livello inferiore rispetto alle aree urbane, così da limitare l’impatto del traffico sulla zona, in una concezione urbanistica sorprendentemente moderna per l’epoca.
Tutto a Milano 2 era pensato per essere a portata di mano: ogni desiderio sembrava esaudirsi, come in un enorme villaggio turistico nel quale però non passare le proprie ferie ad Agosto bensì il resto della propria vita. Una città immersa nel verde, edificata in un’epoca in cui il concetto stesso di “verde” evocava seduzione e speranza. Nell’oasi berlusconiana i 28 palazzi residenziali avevano nomi evocativi di origine natural-botanica come Sorgente, Fiori, Lago, Cedri, Betulle. Nelle aule delle scuole si parlava inglese, la chiesa della parrocchia Dio Padre aggregava intorno a sé l’intera comunità di buoni cristiani.
Un quartiere ideato (e venduto) innanzitutto su una filosofia, fortemente berlusconiana, dove poter passeggiare o andare in bicicletta senza alcun pericolo, dove poter essere felici come le famiglie dei film. Non a caso, Berlusconi stesso seguì spasmodicamente i lavori: si racconta che era ossessionato dal discorso degli alberi, tanto da andare a cercarli di persona nei vivai, per poi posizionarli nei condomini.
In quegli anni, ogni sabato mattina sulle prima pagine del Corriere della Sera si leggevano slogan quali “Milano 2: operazione aria pulita”, o “Milano 2: il momento d’investire”. Il più celebre è: “Milano 2: la città dei numeri uno”.
Slogan che alludevano a ciò che Milano 2 fu, almeno in origine: una proposta di forma di vita nuova, in grado di andare oltre al progetto immobiliare, che comunque rimane di rilievo. Il quartiere, inteso come laboratorio-modello, riuscì a incarnare un’immagine di mondo sereno, un’idea di vita agiata e condivisa, intercettando le più ardite ambizioni dell’alta borghesia italiana del tempo. Oltre ad avere ceti sociali, ideali ed età simili (la maggior parte dei “pionieri” – come vennero chiamati i primi abitanti di Milano 2 – erano famiglie di quarantenni con un paio di figli), la comunità che abitò l’area urbana nata a Segrate condivideva infatti anche lo stesso, fortissimo, desiderio: abbandonare le metropoli per rifugiarsi in tranquille cittadine urbane più a misura d’uomo, che potessero contrapporsi anche ideologicamente a Milano città, metropoli frenetica, inquinata e all’epoca anche poco sicura. Ad essere venduta è l’immagine di un mondo arcadicamente sereno, eppure perfettamente parallelo a quello della città che rimane lì, a due passi. Una “forma-di-vita” in cui i bambini possono “crescere tranquilli in mezzo al verde”, che si colloca integralmente fuori dall’agitata arena politica del tempo, dalle discussioni, dai movimenti, dai rischi e dai tumulti della città. «Il silenzio non ha prezzo», farà scrivere Berlusconi nei depliant destinati alla media e alta borghesia milanese.
Nel volume di lancio, intitolato “Milano 2: una città per vivere“, pubblicato dalla Edilnord nel 1976 e presente in tutte le case dei primi abitanti del quartiere, la giornalista Natalia Aspesi descrive così, in un passaggio particolarmente significativo, la contrapposizione tra Milano e Milano 2: “Si sente la voglia di vivere Milano e nello stesso tempo di esorcizzare Milano: di sdoppiarsi insomma e di provare emozioni corazzate in una città dura e instancabile e provare emozioni indifese in una città dolce e riposata. Una Milano 1 per trovarsi al centro di tutto, una Milano 2 per ritrovare sé stessi”.
Un luogo “dove l’autunno inizia più tardi e l’estate comincia presto”, come recita il medesimo depliant promozionale. Prima della politica, prima delle televisione e di Mediaset, prima del calcio, tutto era già lì, nel nuovo modello di vivere la vita incarnato da Milano 2, la vera operazione che fece di Silvio Berlusconi uno dei nomi più chiacchierati dell’imprenditoria italiana.