Ecco perché la metro di Milano è un capolavoro di design

La metropolitana è uno di quei sistemi di trasporto urbano con cui tutti ci troviamo ad avere a che fare quando dobbiamo muoverci tra i quartieri di una grande città per visitarla, se siamo in vacanza, o per raggiungere il luogo del nostro tanto atteso appuntamento lavorativo, se proprio lì viviamo la nostra quotidianità. Di conseguenza, la metropolitana è anche quell’infrastruttura che colpisce di più durante l’ardua traversata del panorama urbano, spesso diventando un ricordo indelebile che si imprime nella memoria non tanto per i colori, gli ambienti e la luce, ma soprattutto per l’atmosfera in cui ci si immerge: un caotico mix di frenesia, forti rumori, ripetitivi annunci agli altoparlanti e dinamici sali e scendi tra scale mobili. Si tratta di una vera e propria macchina inarrestabile – a meno delle poche ore di fermo notturno – che, come tale, deve funzionare per garantire un servizio efficiente e impeccabile alle migliaia di persone che tutti i giorni ne hanno bisogno. Ciò comporta inevitabilmente che alle sue spalle si nascondano le fatiche di un immane lavoro ingegneristico, anche se, guardando il tutto con più attenzione, si scopre che la metropolitana non è solo questo susseguirsi di orari calibrati al secondo, intrecci di treni e precisi movimenti di ingranaggi.

Proprio al fine di rendere tali ambienti sotterranei meno inospitali e di favorire l’orientamento delle persone in assenza dei tradizionali punti di riferimento cittadini a cielo aperto, è stato necessario implementare alla progettazione puramente tecnica un lavoro che solo architetti e designer sarebbero stati capaci di portare a termine. E in merito a ciò, a fare da caposcuola per il resto del mondo, troviamo sorprendentemente la metropolitana di Milano, che non ci obbliga a dover rivolgere lo sguardo troppo lontano per trovare una vera eccellenza in questo settore.

Lo sappiamo, gli abitudinari dello spostamento sotterraneo milanese obietteranno subito dicendo che, nella realtà dei fatti, la metro non è poi qualcosa di così impeccabile, ma al contrario presenta una miriade di difetti che non staremo qui a elencare. La metropolitana meneghina, infatti, è vicina a compiere i suoi 60 anni e con questi si porta dietro anche i segni del tempo e i mutamenti del susseguirsi di numerosi interventi da parte di vari progettisti, ma ciò a cui stiamo facendo riferimento noi è la straordinarietà del progetto originario, un’opera che è stata capace di fare letteralmente la storia, tanto da essere ancora oggi motivo di vanto per il design italiano.

Per parlarne, però, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo fino al 1964, anno in cui la metro di Milano venne inaugurata e aperta al pubblico per la prima volta. Ciò accadde esattamente il primo novembre di quell’anno e, da quel momento in poi, non dimostrò un men che minimo segno di cedimento, anzi, si era solamente compiuto il primo dei numerosi passi che, nel corso degli anni a seguire, avrebbero permesso all’infrastruttura di ampliarsi sempre di più. Sì, perché nel ’64 iniziò a essere operativa la sola linea rossa che collegava Sesto Marelli a Lotto e disegnava un tragitto nascosto sotto Milano caratterizzato da ben 21 stazioni. Ma fu proprio questo primo tassello del sistema più articolato che oggi conosciamo a essersi rivelato sin da subito un’incredibile opera di architettura e design. Non a caso, l’intero progetto venne abilmente condotto da Franco Albini, un vero pilastro dell’architettura e della progettazione a tutto tondo del Novecento italiano che, nel corso della sua lunga carriera, è stato coinvolto nelle realtà più note della storia del design del Bel paese, una fra tutte Olivetti. Albini, con il suo studio che comprendeva anche Franca Helg, per la metro di Milano si occupò prevalentemente dello studio degli ambienti e degli arredi, mentre l’intero progetto grafico decise di affidarlo ad un’altra illustre mente e mano del design: Bob Noorda. Forse, a molti di voi questo nome non dirà nulla, ma Noorda, olandese per nascita e naturalizzato italiano, fu il fautore di alcuni dei loghi ancora oggi più noti e diffusi come quello realizzato per Coop, Arnoldo Mondadori Editore, Feltrinelli, Agip e tanti altri tra cui lo stemma della Regione Lombardia.

Prima di entrare nel dettaglio delle riuscite scelte progettuali di Albini e Noorda, dobbiamo indagare il principale motivo per cui, lo stesso anno, il progetto della Metropolitana Milanese si aggiudicò il Compasso d’Oro ADI, il più prestigioso premio italiano al quale architetti e designer possano ambire. Per la prima volta, infatti, ci troviamo davanti a un contesto nel quale progettisti di grande fama sono coinvolti in un’opera completamente pubblica e, dunque, svincolata da ogni tipo di committenza privata. Ciò comporta anche che, soprattutto per un sistema di mezzi di trasporto, si tratti di uno di quei progetti che dal giorno zero viene immediatamente messo al vaglio dell’utilizzo intensivo da parte degli utenti, ovvero viene istantaneamente proiettato nel contesto operativo per il quale è stato concepito senza una più graduale scesa in campo, dovendo quindi assorbire il tumultuoso impiego quotidiano. È a tutti gli effetti un’ardua messa alla prova che può decretare il completo fallimento dell’opera o, come nel nostro caso, consacrarne l’eccezionalità.

Ecco qui la motivazione ufficiale della giuria ADI per l’assegnazione del premio:

Il Compasso d’Oro 1964 viene attribuito agli architetti Franco Albini e Franca Helg e al grafico Bob Noorda per le particolari qualità del coordinamento architettonico e dell’organizzazione della segnaletica delle nuove stazioni della Metropolitana Milanese. […] La giuria intende sottolineare, inoltre, l’importanza del fatto che un ente pubblico abbia voluto qualificare un proprio sforzo economico e organizzativo rivolgendosi a specialisti altamente apprezzati per il loro lavoro creativo.

Tradotto: Bob Noorda e Franco Albini avevano portato a termine un’opera perfetta, un vero e proprio capolavoro.

Come si è potuto capire, la linea rossa della metro di Milano si articola secondo un impeccabile e continuo dialogo tra architettura, product design e design grafico, grazie al quale ogni elemento, progettato ad hoc per l’occasione, vive in virtù del contesto che tutti gli altri gli creano attorno e proprio lì vi trova l’opportunità per essere coerente e funzionare nel migliore dei modi. Sotto la direzione di Albini, furono numerose le innovazioni realizzate per trovare spazio all’interno delle nuove stazioni sotterranee. Partendo dai pannelli per il rivestimento delle pareti in Silipol, una resistente miscela di cemento e polvere di pietre, fino ad arrivare alla celebre pavimentazione gommata prodotta appositamente da Pirelli: la gomma nera venne modellata in superficie con gli inconfondibili tondini a rilievo, perfetti per ridurre il rischio di scivolamento, attutire i colpi generati da scarpe e tacchi (dimostrando grande attenzione per il comfort acustico) e per garantirne, all’eventualità, un’agevole sostituzione. Il tutto, pensato nei minimi dettagli per connotare al meglio l’ambiente interno di un luogo di passaggio, sul quale raramente capita di soffermarsi ma dietro cui, come si è visto, si nasconde un’attenta e puntuale progettazione. In estrema sintesi, dunque, Albini ha voluto mantenere la linea della semplicità e dell’asciuttezza decorativa, senza rinunciare alla cura maniacale di ogni piccolo dettaglio: l’impostazione razionale che fa da sfondo al progetto è evidente, ma non possono sfuggire gli influssi dei ruggenti anni ’60 italiani che ricadono specialmente sugli elementi d’arredo.

Uno di questi e forse il più emblematico è senza ombra di dubbio il corrimano. Verniciato nel vibrante rosso della linea, il corrimano di Albini non è nient’altro che un tubolare metallico il cui segno distintivo si incontra nelle estremità, proprio dove questo si arriccia quasi a formare un punto interrogativo. Questo elemento, all’apparenza di poco conto e quasi superfluo, in realtà è andato incontro a un grande successo, da un lato per la sua profonda semplicità, dall’altro perché unico nel suo genere e fortemente iconico. In merito a ciò, è curioso notare come Albini avesse già adottato una soluzione formale analoga nella progettazione della poltrona Tre Pezzi (1959), caratterizzata proprio da un telaio in tubolare sagomato secondo la stessa logica. Un’analogia spiccata tra i due prodotti, tanto che nel 2014 l’azienda Cassina, colosso del furniture design italiano, per celebrare i 50 anni della linea rossa, ha riproposto la poltrona con il tubolare nello stesso rosso del corrimano. Invece, un altro oggetto che è stato riproposto per celebrare il mezzo secolo di attività della metro, è l’orologio, presenza fissa nelle stazioni, che con le sue spesse lancette rosse scandisce gli arrivi e le partenze dei treni sotterranei. In realtà, NAVA design ha proposto al pubblico una miniatura dei grandi orologi pubblici di Albini che, con un’abile diminuzione di scala, sono diventati perfetti esemplari da polso, caratterizzati dall’ampio quadrante bianco e un acceso cinturino rosso a tinta unita.

Giungiamo, infine, al contributo del designer grafico Bob Noorda, vera e propria ciliegina sulla torta dell’intero progetto. Diciamo questo, perché Noorda è riuscito a sviluppare impeccabilmente sia l’identità coordinata della Metropolitana Milanese che l’intero apparato comunicativo necessario alla corretta e regolare fruizione da parte degli utenti. Anche se oggi, guardando una qualsiasi fermata sotterranea di Milano, questi due elementi possano apparire nell’insieme scontati e addirittura semplici e scarni, in realtà durante gli anni ’60 si trattò di un’audace opera all’avanguardia che, come già detto, fu alla base dello sviluppo di molte altre metropolitane in giro per mondo. E proprio il fatto di apparire agli occhi dei non addetti ai lavori come un progetto banale, ne conferma la sua grande efficacia e risolutezza comunicativa. Noorda improntò il progetto grafico, dunque, sull’immediatezza informativa della segnaletica e, per ottenere ciò, il primo passo fu quello di ridisegnare a mano i 64 caratteri tipografici dell’Helvetica, una delle font più note al mondo, apportandovi precise e puntuali modifiche al fine di renderla ancora più leggibile, soprattutto dai passeggeri in movimento che, apprestandosi a una stazione, devono riconoscerne subito il nome. A ciò, poi, seguì l’intuizione di ricreare, sotto la scia del corrimano di Albini, una fascia rossa opaca lungo tutta la lunghezza della fermata all’interno della quale, ad intervalli regolari di 5 metri, doveva esserne ripetuto il nome in bianco. È curioso notare come il binomio segnaletica-corrimano abbia letteralmente creato il fil rouge che lega e accomuna ancora oggi tutte le 21 fermate della linea rossa. Il designer olandese, infine, ideò per la nuova metropolitana anche il logo, una semplice composizione di due M specchiate che, in realtà, fu l’unica parte dell’interno progetto a non andare in porto, lasciando spazio alla grande M più squadrata che ancora oggi ci indica gli accessi al mezzo di trasporto sotterraneo.

Albini e Noorda, nel lontano ’64, con la loro linea rossa hanno indubbiamente portato a termine quello che possiamo definire un capolavoro di cui andare estremamente fieri. Ad oggi, però, la metropolitana di Milano potrebbe godere di una reputazione migliore dato che il suo sviluppo, che ha visto la nascita di nuove linee, è raramente coinciso con un suo adeguato aggiornamento. Non che il progetto dei due designer debba essere ripensato, sostituito o svecchiato, ci mancherebbe. Questa ipotesi comporterebbe solamente danni alla loro grande opera ancora oggi estremamente attuale. Ma si tratta soprattutto di progredire con tutto quello che vi orbita attorno, proprio come è già stato fatto con la più recente introduzione di nuovi treni o, come suggerito dal designer Riccardo Cambó in un video su YouTube, si dovrebbe fare in merito alle soluzioni grafiche dei biglietti e all’interfaccia delle macchinette automatiche per acquistarli attualmente decisamente troppo obsolete.