Per noi italiani è incredibilmente complesso pensare di iniziare la giornata con il piede giusto o di portarla a termine, dopo una pausa pranzo fatta in fretta e furia, senza goderci il nostro amato e tradizionale espresso bollente e fumante. Di certo, per la stragrande maggioranza delle persone, si tratta più che altro di un’abitudine tramandataci e fatta nostra da buoni discendenti quali siamo, facendo sì che diventi sempre più una cerimonia rituale, che si ripete a cadenza regolare nelle nostre vite, piuttosto che una reale necessità. Il caffè ci appartiene e spesso ci definisce: a noi italiani piace fare due chiacchiere con i nostri amici seduti al bar, ma anche offrire l’ennesimo espresso della giornata appena ne abbiamo l’opportunità, magari anche in occasione di un incontro decisamente più formale. Si tratta di un piccolissimo gesto che non conosce barriere di contesto, è vero, ma in cui risiede implicita un’intenzione di gentilezza, socialità e condivisione.
Ora pensate a tutte quelle volte che vi siete trovati alla disperata ricerca di un buon caffè per soddisfare quell’irreprimibile desiderio di natura tutta nostrana. In ogni città italiana, il pericolo di rimanere a mani vuote è pressoché nullo – al massimo può emergere l’incognita di incappare in un’amara delusione, perché ammettiamolo, non tutti i bar sanno fare il caffè come da regola – ma, trovandovi all’estero la ricerca si fa sempre più complessa e, di certo, è meglio non farsi aspettative. In questi casi tutto si risolve quando, sull’insegna del bar o sbirciando dentro alla vetrina, si nota l’inconfondibile quadratino rosso con scritto illy al suo interno. Alla vista di uno dei brand di caffè più celebri e riconoscibili in Italia, si può finalmente tirare un sospiro di sollievo e decidere di varcare l’ingresso consapevoli che sia ormai remota l’ipotesi di fallire nel proprio intento. Uno degli aspetti più rilevanti di illy, però, non è tanto l’essenza e la qualità del caffè proposto che attira molti di noi, quanto la grande cura che l’azienda, nel corso degli anni, ha riservato alla definizione della propria immagine. Ed è proprio qui che entra in campo la famosissima tazzina illy, che tutti almeno una volta abbiamo avuto il piacere di stringere tra le mani, ovvero quell’oggetto attraverso cui l’azienda si è da sempre rappresentata e insieme presentata al cliente, instaurando con egli un vero e proprio contatto fisico. Non deve stupire quindi che, dietro un oggetto estremamente semplice, comune e diffuso, ma contemporaneamente così importante per il brand, si nasconda il contributo di una celebre figura del design italiano e un programma di numerose collaborazioni nel campo dell’arte contemporanea attive ancora oggi.
La tazzina illy nasce nel 1991 da un’idea di Matteo Thun, progettista poliedrico ancora oggi attivo sul campo grazie allo studio Matteo Thun & Partners da lui fondato con base a Milano e a Monaco di Baviera. Se il cognome vi suona familiare, è tutto nella norma dato che si tratta proprio del primogenito di Lene e Otmar Thun, la coppia altoatesina fondatrice della celebre realtà che dal 1950, anno della prima realizzazione dell’“Angelo di Bolzano”, produce piccole ceramiche scultoree sotto forma degli inconfondibili angioletti e animali dai colori tenui e dalle linee graziose, che da tempo sono una presenza fissa in molte delle nostre case. Matteo Thun, probabilmente sulla scia della particolare affinità della madre verso la dimensione del materiale e del tangibile, sin da giovane ha scelto di immergersi nel mondo del progetto. Dopo una prima formazione presso l’Accademia di Salisburgo sotto la guida dell’artista espressionista Oskar Kokoschka, si è laureato in architettura a Firenze, rendendo già evidente quell’interdisciplinarità che lo contraddistingue ancora oggi. Thun è dunque un creativo capace di spaziare abilmente dalla pura architettura, all’interior e al product design, discipline che secondo lui non conoscono confini di definizione e rappresentano declinazioni diverse di uno stesso approccio al mondo del reale.
Concretamente, quindi, si tratta di alternare a realizzazioni di grandi edifici, uno fra tanti l’headquarter di Hugo Boss (2006), dei progetti su scala decisamente più ridotta come nel caso della stessa tazzina illy. È su questa dimensione dell’oggetto che, in realtà, Thun ha dato il via alla propria carriera, prendendo parte nel 1981 al collettivo più rilevante e conosciuto del design italiano appartenente a quella decade: Memphis. Dopo aver incontrato per la prima volta Ettore Sottsass (fondatore di Memphis) a Los Angeles nel 1976, il suo futuro professionale ha preso quella direzione che lo ha portato a vivere da dentro le dinamiche del design radicale e postmoderno, non meno che a maturare una consapevolezza progettuale utile a lasciare un segno nella storia dell’oggetto italiano. Nonostante le innumerevoli opere che meriterebbero di essere raccontate, insieme anche a gli importanti ruoli che Thun ha rivestito nel corso del tempo, dall’insegnamento alla direzione creativa di Swatch (1990-1993), o ai premi conferitigli tra cui il Compasso d’Oro per ben tre volte, il riuscito progetto per illy gode di una particolare rilevanza, non solo perché ricopre un punto nodale nella carriera del progettista, ma perché, a più di 30 anni dall’uscita sul mercato, riesce ancora a distinguersi e a prendere parte alla nostra quotidianità.
La tazzina progettata per illy del 1991 rappresenta sicuramente un fondamentale polo di convergenza di stimoli appartenenti al background di Thun: torna la ceramica come unico materiale sul quale lavorare, lo stesso sul quale la madre improntò l’azienda di grande successo, e viene messa in campo in fase di progettazione quella forma mentis acquisita durante l’esperienza con Memphis e, soprattutto, derivata dai profondi insegnamenti di un grande maestro come Ettore Sottsass. Una volta arrivata la commissione del progetto da parte dell’azienda, Matteo Thun ha deliberatamente scelto di improntare il proprio lavoro su un concetto a lui molto caro e riassumibile con queste parole: “design nullo”. Il designer di Bolzano, infatti, al fine di realizzare un oggetto che avrebbe avuto larghissima diffusione e che sarebbe andato incontro ad un reiterato utilizzo, ha cercato di lasciare da parte ogni elemento stilistico e personale, per valorizzare, invece, l’essenzialità e la purezza di un prodotto senza pretese, facendo in modo che ad emergere fosse il “vero design”, quello autentico e sincero. È proprio su questa operazione, capace di rendere la tazzina un ottimo esempio di design anonimo – è nota alla massa per essere stata realmente utilizzata e non per essere stata disegnata da una grande firma – che si può misurare la sua importanza poiché il risultato ottenuto ha portato ad un oggetto in cui l’esplicito intervento del progettista è stato ridotto al minimo, lasciando spazio, piuttosto, alla definizione delle forme in funzione delle esigenze da soddisfare.
Entrando più nel dettaglio, dal punto di vista formale la tazzina si compone di due volumi: il corpo cavo contenitore e l’elemento su cui far presa con le dita. Nel primo vi è letteralmente nascosto un approfondito studio del rapporto caffè-tazzina-persona. Infatti, solamente operando una sezione verticale dell’oggetto, si può notare una notevole variabilità dello spessore della ceramica che, partendo dall’estremità in cui si poggiano le labbra e scendendo fino al fondo, arriva addirittura a raddoppiare. Ciò si spiega nella diversa funzione alla quale le varie porzioni del volume contenitore sono destinate: dove avviene il contatto con la bocca servirà uno spessore ridotto così da rendere più facile e piacevole sorseggiare il caffè; mentre nella parte inferiore l’aumento del materiale consente di creare un grado di isolamento termico tale da mantenere in temperatura l’espresso appena versato, giusto per quei due o tre minuti utili a consumarlo. La presa, invece, è realizzata a partire da un elemento puro, proporzionato e bilanciato, ovvero un piccolo anello perfettamente circolare con un’apertura che non consente il passaggio di nessun dito, ma favorisce un contatto saldo e confortevole. Matteo Thun, poi, ha sviluppato in maniera coordinata anche il piattino che accompagna la tazzina. Ancora una volta cercando di combinare la più elevata sintesi formale con elementi funzionali legati alla praticità del quotidiano, si è concentrato sull’alloggio centrale destinato al posizionamento della tazzina da lui stesso definitivo ad “effetto Vesuvio”. Si tratta, infatti, di una forma analoga a quella della bocca di un vulcano, ovvero rialzata e profonda, utile da un lato a contenere i movimenti della tazzina, altrimenti precari durante gli spostamenti all’interno di un bar o in casa, dall’altro ad innalzare visivamente l’oggetto, e di conseguenza il marchio applicatovi sopra, così che il caffè illy venga presentato e percepito come un prodotto importante e prezioso.
Con tale approccio progettuale Thun ha senza dubbio dato forma a quello che potremmo definire come l’archetipo della tazzina per il caffè, non solo perché essenzialmente pura nelle sue geometrie, ma anche perché estremamente copiata sin dal momento della sua prima scesa in campo. Il tutto, condensando in un piccolo oggetto che spesso passa inosservato, un vasto contenuto culturale proprio come illy cerca di fare con il proprio prodotto. L’azienda, infatti, ha da sempre cercato di abbracciare il più possibile la cultura in senso lato, improntando questo contatto come elemento fondante della propria brand identity e, di conseguenza, delle proprie strategie di marketing. Non c’è da stupirsi dunque se, entrando in uno dei numerosi musei italiani, ci si imbatte proprio in un’insegna illy oppure, solo dopo aver ordinato il caffè, il barista ce lo serve proprio in una tazzina di Thun. Tale carattere appartenente alla filosofia aziendale, unito alla semplicità della tazzina e al suo tradizionale colore bianco, ha fatto sì che il progetto del designer sudtirolese iniziasse ad esse visto come una vera e propria tela su cui far esprimere degli artisti. Con queste premesse nasce la illy Art Collection, una collezione di tazzine che di anno in anno si arricchisce di esemplari decorati dai più svariati artisti. L’azienda, per questo progetto, non ha di certo pensato in piccolo, poiché ha da sempre chiamato a collaborare alcuni tra i più grandi nomi dell’arte contemporanea e non solo. Memorabili sono gli interventi sulla tazzina di Thun di figure come Emilio Pucci, Yoko Ono o la famosissima performer Marina Abramović, ma anche pittori e scultori come Louise Bourgeois, Jeff Koons e Anish Kapoor. Grazie a queste, che sono solo alcune delle numerose collaborazione che illy ha intessuto nel corso di 30 anni e che sono state riunite insieme in una mostra allestita presso i Magazzini del Sale di Venezia nel 2017, viene esemplificato al meglio l’intreccio e la contaminazione culturale che l’azienda è riuscita a creare inaspettatamente sin dagli anni ’90. Dopotutto, chi l’avrebbe mai detto di vedere unificate sotto lo stesso progetto una storica azienda del food italiano, il design e l’arte contemporanea?
La storia della tazzina illy, quindi, ci parla sia di un eccellente progetto di product design realizzato da un nome tutt’altro che secondario nel panorama italiano, sia di una contaminazione intersettoriale, che non solo è decisamente affascinante poiché non può fare altro che sfornare grandi risultati grazie al contributo di numerose personalità che comunicano attraverso l’arte, ma che arricchisce notevolmente una banale e ripetuta azione come quella di gustarsi un buon espresso, che tutti noi compiamo ogni singolo giorno e alla quale tendiamo a non dare grande rilevanza.