La rivoluzione architettonica degli autogrill a ponte

Viaggiare lungo le autostrade d’Italia significa (anche) imbattersi in disseminate e stravaganti architetture che tutti riconoscono ma pochissimi conoscono: viadotti, gallerie, motel, caselli, distributori di benzina. Frammenti che scandiscono il passare dei chilometri lungo le fasce d’asfalto tra nebbie invernali e canicole estive e che, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, hanno plasmato le memorie di milioni di viaggiatori nelle loro trasferte lungo la penisola italiana.

Fra le innumerevoli strutture che si possono intercettare alzando gli occhi al cielo durante un viaggio, il primato di architettura autostradale per eccellenza spetta senza dubbio all’autogrill.

In principio, ad avere l’idea di installare “ristoranti per automobilisti” lungo le nascenti autostrade, e a inventarsi il nome stesso, “autogrill”, fu l’industriale Angelo Pavesi, quello dei Pavesini. Il suo intuito imprenditoriale verrà poi assecondato nei fatti da Angelo Bianchetti, designer e progettista razionalista, specializzato in padiglioni fieristici e architetture pubblicitarie.

Temporalmente collochiamo la nascita di queste attrezzate aree di sosta a cavallo fra gli ’50 e ’60 del Novecento, in pieno boom economico. Da un lato la condizione di trasformazione strutturale del Paese vede i maggiori imprenditori del settore  dolciario – Angelo Motta, Mario Pavesi, Gioacchino Alemagna su tutti – investire nel territorio vasto e incontaminato del bordo autostradale, in vista di un promettente mercato di utenti-viaggiatori. Dall’altro gli architetti progettisti – in particolare Angelo Bianchetti per la Pavesi e Melchiorre Bega per la Motta – diventano il riferimento culturale e progettuale di questa committenza. Sullo sfondo, il contesto socio-economico e produttivo della Milano degli anni ’50, territorio in cui prende vita la preziosa congiunzione tra una certa cultura industriale innovativa e aperta e la cultura architettonica italiana.

Lungo le nascenti autostrade si progetta un’inedita idea di ristorazione organizzata, capace di coniugare assieme elementi architettonici e pubblicitari. Pavesi rilancia a più riprese il successo del suo primo punto vendita autostradale, aperto nel 1947 sulla Milano-Torino, nei pressi del suo stabilimento di Novara, e, alla fine degli anni ’50, commissiona a Bianchetti gli autogrill di Lainate (1958), Giovi (1959) e Varazze (1960): tre chioschi a pianta circolare contornati da monumentali esostrutture metalliche, simili, a primo impatto, ad astronavi uscite da un film di fantascienza e atterrate sulle strade italiane. L’idea originaria rimanda a quella del padiglione fieristico per eventi, di cui Bianchetti è profondo conoscitore, qui adattata a spazio di vendita e di ristorazione. L’installazione pubblicitaria rimane però elemento costituente dell’architettura. La caratteristica più importante è proprio la visibilità: l’automobilista deve percepire l’autogrill già in lontananza come un festoso landmark brandizzato. L’interno viene vetrato per intero, così da permettere una perfetta osservazione non tanto del paesaggio, quanto dello spettacolo delle auto, delle moto e dei camion che sfrecciano a tutta velocità sull’asfalto, in un senso o nell’altro.

Gli autogrill Pavesi rappresentarono di fatto i primi luoghi brandizzati per intero nell’Italia degli anni ’50: fuori campeggiavano le gigantesche insegne Pavesi, mentre dentro si vendevano unicamente prodotti del marchio.

È il 23 dicembre 1959 quando viene inaugurato l’autogrill Pavesi di Fiorenzuola d’Arda, il primo edificio a ponte su un’autostrada in Europa. Eretto in soli quattro mesi sull’Autostrada del Sole, la prima costruzione dalla squadrata forma a “U” si trova al centro di quel tavoliere nebbioso ma commercialmente strategico che è la Pianura Padana, a metà strada tra Parma e Piacenza.

Autogrill Pavesi di Fiorenzuola d’Arda

L’American Way è un riferimento centrale per il suo sviluppo: in particolare il modello che Pavesi e Bianchetti prendono come ispirazione dopo un viaggio negli Stati Uniti, è il ristorante Oasis della catena Fred Harvey di Chicago. Nell’autogrill di Fiorenzuola d’Arda gli spazi di vendita si trovano al piano terra, mentre il ristorante panoramico in quota, spettacolare belvedere su un paesaggio artificiale di lamiere aerodinamiche e asfalto liscissimo, dove godere di prospettive inconsuete e bellissime.

Mangiare in autostrada diventa un mito, tanto da finire sulla copertina del prestigioso magazine americano Life, che dedica alla struttura parole entusiastiche, annoverandola come esempio di rinascita dell’Europa intera dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

A partire da quel momento Bianchetti costruirà altri 11 autogrill a ponte, tutti per Pavesi, con struttura in acciaio o in cemento armato, tutti accomunati da un simile layout con le scale esterne a rampa elicoidale su entrambi i lati. Luoghi che probabilmente oggi definiremmo “pop”, ma le cui origini non ebbero mai ambizioni estetizzanti: al contrario si trattava di strutture strategicamente disposte sul territorio secondo un disegno coerente con una moderna strategia di mercato, che intravedeva nel “ristoro” dell’automobilista un nuovo grande settore commerciale e un canale di diffusione di nuovi prodotti alimentari. Edifici che parlavano di progresso e di benessere, di un futuro avveniristico da raggiungere in fretta. Simbolo di un’Italia in (convulso) movimento.

L’esempio forse più interessante di architettura a ponte, almeno da un punto di vista strettamente progettuale, nasce al km 198 dell’autostrada A1 Milano-Napoli, più precisamente nella località di Casalecchio di Reno, alle porte di Bologna. È l’autogrill Cantagallo, voluto da Angelo Motta, industriale dei panettoni, che nel giorno della sua inaugurazione, il 29 aprile 1961, venne esaltato come “il maggiore d’Italia e il più grosso d’Europa”.

Autogrill Cantagallo

Oltre che per le sue dimensioni, la particolarità dell’autogrill Cantagallo era quella di essere pensato come una piccola città. Nell’area in cui sorge, oltre a usuali bar e ristoranti, si trovavano infatti anche un ufficio postale, una farmacia, una banca, una libreria, un fioraio e, abbastanza incredibilmente, una piccola chiesa, voluta dalla famiglia Motta. Una chiesa architettonicamente simile ad uno chalet di montagna svizzero, con un oblò disegnato sulla porta d’ingresso, dove ogni domenica alle 11 si celebrava la messa. A progettare l’avveniristica struttura a ponte con un profilo a ‘M’ del ‘Mottagrill’ è l’architetto Melchiorre Bega, tra gli altri progettista a Milano della Torre Galfa – il grattacielo a 32 piani in zona stazione centrale occupato nel 2012 da Macao -, a Bologna della casa del Rotary in piazza Ravegnana e a Roma del Caffè Grande Italia in piazza Esedra.

L’autogrill di Cantagallo, aperto 24 ore al giorno, era pensato per essere raggiungibile anche per via esterna rispetto ai tradizionali ingressi in autostrada, tramite le Porrettana, la lunga via che unisce Pistoia e l’alta Toscana all’Emilia-Romagna, passando per l’Appennino bolognese e per il centro della città di Bologna. Dunque, in maniera similare rispetto a ciò che sarebbe poi successo con le polpette dell’Ikea, la gente della zona prese l’abitudine di andarci a pranzo la domenica. Un pranzo in quota, vista autostrada Milano – Napoli.

Il primo gennaio 2002, si dice, il primo scontrino in euro fu emesso proprio qui, al Cantagallo.

Autogrill Cantagallo

Nella fretta che contraddistingue la nostra epoca, anche il senso e il valore del viaggiare in autostrada sono cambiati: la sosta è diventata più breve, il pagamento del pedaggio o lo spuntino al bar accelerati. 

Come fenomeno architettonico però gli autogrill, in particolar modo quelli a ponte, rimangono ancora oggi fortemente impressi nella memoria collettiva del paesaggio autostradale italiano. I bozzetti di Angelo Bianchetti, con le futuristiche vetture che sfrecciano in primo piano lasciando sullo sfondo l’architettura del ponte di Montepulciano – realizzato nel ’67 e lanciato dall’iconico claim “il più ardito autogrill al mondo” – sono ancora oggi un’iconografia indimenticata.

Fedele testimonianza del sentire dell’epoca, ad oggi ispirano nostalgia verso un futuro ormai perduto, frenetico più che ponderato, fatto di Pil in crescita perenne, modernizzazione, motorizzazione di massa. Icone in grado di rendersi indipendenti dalla funzione e dalle finalità che li generarono, tanto da ricollocarsi, nell’immaginario collettivo, dalla sfera del consumo per eccellenza a quella del viaggio e della scoperta. Architetture colte ma spensierate, anarchiche nella loro inusuale collocamento. Intenzionalmente nazionalpopolari.