Gli arredi trasformabili come risposta alla crisi abitativa

Negli anni Cinquanta le case erano ancora abbastanza grandi da poter contenere un divano letto per gli ospiti, pochi si erano prefigurati il nomadismo digitale e tantomeno qualcuno avrebbe creduto che le scrivanie si sarebbero trasformate in tavolo da pranzo e da cena. Insomma, quelli erano tempi non sospetti in cui pochi pensavano che nelle nostre case avremmo avuto bisogno di arredi trasformabili

L’avevamo appena fatta finita con Le Corbusier, con l’idea che potesse esistere un unico modello di casa applicabile in giro per il mondo: la regionalità degli stili e dei materiali stava rientrando nell’equazione razionalista anche grazie ad architetti italiani come Lina Bo Bardi. Nel design del prodotto si affacciavano nuovi attori: Enzo Mari, che rifletteva sul ruolo salvifico del divano letto nelle «case proletarie», oppure gli Archizoom, collettivo di studenti di architettura fiorentino che si era fatto ispirare dall’inondazione dell’Arno a Firenze per ripensare l’inadeguatezza delle abitazioni del Dopoguerra. I designer ragionavano sull’idea di produrre arredi che potessero servire più funzioni. 

Oggi, i dati in Italia e in Europa ci parlano di una nuova crisi abitativa che ha poco a che fare con le bombe e con le inondazioni e tanto dipende da un mercato saturo di affitti brevi, di case minuscole e prezzi fuori dai nostri stipendi. C’è un motivo perciò per cui stiamo parlando di arredi trasformabili proprio ora. Se fino all’alba del nuovo secolo caratteristiche come la flessibilità e la variabilità dei prodotti erano terreno di sperimentazione, specchi e proiezione per le fantasie dei designer, oggi la multifunzionalità è diventata necessità, carattere saliente delle nuove esperienze e ricerche dell’abitare contemporaneo. Ora più che mai c’è bisogno di risposte creative alla crisi abitativa. 

Campeggi, azienda familiare di divani e divani letto fondata da Luigi Campeggi, è una delle prime al mondo – nel 1959 – a produrre trasformabili: «per accelerare prima dello sbadiglio», per non annoiarsi mai, neanche quando si passa l’aspirapolvere.

Con l’azienda brianzola collaborano i grandi nomi del design degli anni Sessanta. Vico Magistretti progetta diversi prodotti ispirati al mondo escursionistico, valicando il limite tra outdoor e indoor. La poltroncina pieghevole Kenia da chiusa somiglia a un ombrello ma si apre come una grande tenda da campeggio. Veloce ed ergonomica, ci dà il tempo di fare un po’ i guardoni con il binocolo e magari scorgere qualche elefante nel giardino di casa. Altri prodotti firmati Campeggi che hanno fatto scuola avevano trovato spazio durante la design week nella mostra SALONE CALMO ospitata negli ex uffici della Pirelli, ora BiM

Negli anni l’azienda a conduzione familiare ha continuato a collaborare con designer talentuosi e l’ultima sua fatica è Brando, letto multifunzionale disegnato da Giuseppe Arezzi e presentato a Milano da Small Small Space. Con la mostra Brando nel microlocale la project room e galleria si è trasformata in una micro-casa e, prima di essere aperta al pubblico, è stata vissuta per un’intera giornata da Guglielmo Campeggi – direttore creativo del marchio. 

All’interno dello spazio di sette metri quadrati in Corso di Porta Vittoria ci sono pentolini attaccati al soffitto e piccoli tavolini da outdoor che però stanno indoor. Le stanze sono separate da tendaggi e si cucina solamente con i fornelli elettrici. C’è anche una bici, pure lei di quelle trasportabili – un altro oggetto creato a posta per le nostre metropoli, per quando la corsa a pedali si interrompe e bisogna salire in qualche strettissimo treno della metro. Ma prima di tutto c’è Brando a svolgere tutte le sue multifunzioni: di letto da camera, di branda da campo, di seduta, di tavolino e di fisarmonica. Per questo prodotto perfettamente inserito nell’humus del contemporaneo, Giuseppe Arezzi si è ispirato alle brande di Ettore Moretti: «ha ripreso un oggetto esistente, funzionale ma anche spartano e, con un gioco di ready made, l’ha reso un prodotto domestico». 

La mostra Brando nel microlocale costituisce uno scenario inedito, uno spunto dissacrante per rispolverare la tradizione dei trasformabili. Alla prima, ironizza sui limiti della casa contemporanea, esagera tutti gli stilemi della precarietà abitativa e mima una routine che non ci vuole mai troppo a nostro agio in casa nostra. Nondimeno però restituisce un valore di resistenza abitativa al design del prodotto: per citare Enzo Mari, prova a liberare il consumatore – con il gioco – anche dentro case ormai perennemente in affitto. 

Se i nuovi sviluppi degli arredi trasformabili possano essere la grande ispirazione per ricostruire il nostro abitare nomadico e precario, solo il tempo ci aiuterà a capirlo. Intanto, parodisticamente innocui come sono sempre stati, gli arredi trasformabili ci offrono forse l’ultima possibilità romantica di sentirci padroni delle nostre situazioni abitative, di giocare con questo senso di precarietà e di accelerare, prima dello sbadiglio, anche il cambiamento.