Nel 1942 Domus aveva chiesto ai massimi rappresentanti del design italiano del tempo di immaginare una casa ideale che gli sarebbe piaciuto progettare e costruire per loro stessi (e le loro famiglie) raccogliendoli nella rubrica “La casa e l’ideale”. Gli interrogati avevano quindi inviato alla rivista di arredamento dei progetti ideali, a volte strutturati con piani di progettazione precisa e meticolosa, altre solo con disegni a matita colorata e lettere scritte a mano ad accompagnare. Le idee per le case nascevano tutte da necessità semplici come l’adattabilità: chi come Gian Luigi Banfi aveva pensato alla praticità dell’avere una casa modulare completamente trasportabile da un furgone, chi come Enrico Peressutti partiva invece dal paesaggio circostante la casa per fondere costruzione e contorno.
In un periodo in cui ci si sarebbe aspettati progetti modernisti e monolitici, un po’ di austerità e imponenza, i designer e architetti hanno invece lavorato seguendo una fantasia idilliaca – proprio come faremmo tutti ancora oggi pensando alla nostra casa ideale. Le risposte ottenute erano ovviamente un mix tra il pensiero teorico e professionale dei creativi (alcuni dei quali erano membri e fondatori del gruppo BBPR e condividevano quindi visioni e teorie) e le loro situazioni personali che comprendevano a volte figli, compagne, la necessità di avere uno studio in casa in cui lavorare o degli spazi per accogliere gli ospiti.
Tra i fondatori del BBPR, Gianluigi Banfi, coglie l’occasione per esprimere al massimo le sue teorie influenzate dal movimento modernista degli anni ’30 ed espresse in Italia nella forma razionalista dei lavori del gruppo di architetti. Per Domus invia alla redazione gli schemi di una casa costruita a moduli e arredata da mobili smontabili e pieghevoli, concepita per facilitare al massimo le azioni di smontaggio e ricollocamento precedendo di qualche anno la linea architettonica dei prefabbricati pensata come soluzione alla ricostruzione del dopoguerra. L’altro fondatore del BBPR, Enrico Peressutti, manda invece una lettera scritta a mano completa di schizzi a matita che fanno iniziare il progetto di casa ideale dal paesaggio che la circonda: “L’orizzonte, il cielo, il mare, la terra, il verde, alcune rocce, e, in lontananza, forse, il continente” scrive l’architetto. Un rapporto con il paesaggio da cui parte anche Marco Zanuso: “Quando costruirò la mia casa, andrò alla periferia della città e cercherò un prato…” scrive, continuando una descrizione tanto spontanea quanto ideale. “Un prato quadrato, cintato da mura sufficientemente alte, con qualche albero non molto grande. Là costruirò la casa per la mia compagna e per me. Una casa non grande, ma capace di diventarlo. Un nucleo, come la cellula, che possa ingrandirsi insieme alla famiglia; che possa seguire il divenire degli elementi di essa. La mia casa sarà bianca e trasparente: la vita si svolgerà in spazi ampi, luminosi; in spazi limitati, raccolti”, scrive Zanuso.
Nella casa “a baule” (verticale) di Carlo Mollino invece il rapporto con l’ambiente esterno sembra essere complicato e la vista panoramica su Torino e la campagna intorno diventano un elemento a volte volutamente oscurato. Una torre con pareti ricoperte di armadiature fatta eccezione per le moltissime vetrate con cui l’architetto sente di godere di una libertà impagabile: tenere fuori il paesaggio all’occorrenza. Il progetto della sua casa ideale si allontana da quello che vorrebbe una qualsiasi casa razionale e si sviluppa quindi su sette piani, alti e stretti, con la dichiarata volontà di non voler costruire un edificio “infognato nel verde” della collina – che non avrebbe dato a Mollino nessuna soddisfazione.
Progetti liberi rimasti solo ideali ma che oltre a fornire una testimonianza sul design utopistico del tempo dimostrano anche un’enorme modernità – in parte comprensibile e idealizzabile ancora oggi.