Se Spotify è la regina delle app di musica, probabilmente Docent lo è per quelle di arte contemporanea. Una piattaforma rivoluzionaria che – in poche parole – funge da “advisor” per i collezionisti d’arte. Con lo stesso spirito innovativo, Docent organizza insieme a Outpump una mostra d’arte contemporanea a Milano, nello specifico da Dots – un nuovo projects space e hub interdisciplinare progettato per favorire connessioni all’interno della cultura contemporanea – con l’apertura fissata per il prossimo 31 ottobre: Docent Dialogues. Un evento dal respiro internazionale che coinvolgerà otto artisti, proposti da cinque gallerie d’arte diverse, con la curatela di Edoardo Durante. Ma facciamo un passo indietro. Perché cinque gallerie collaborano per un progetto comune con Docent e Outpump? Qual è lo scopo, se non il dialogo tra otto giovani artisti?
La parola chiave della mostra è collezionismo. Se da un lato il fil rouge che lega le opere esposte è “la reinterpretazione della realtà che ci circonda”, dall’altro la mostra riflette in piccolo quello che accade virtualmente e in grande sull’app Docent. Una piattaforma che propone ad appassionati e collezionisti d’arte opere di artisti che probabilmente non avrebbero mai conosciuto altrimenti, grazie a un algoritmo basato sull’intelligenza artificiale, messo a punto dalla fondatrice Helene Nguyen-Ban e dal matematico pluripremiato Mathieu Rosenbaum.
AI, digitale, app mobile: tutti termini che si pongono in contrasto con il tradizionalismo tanto caro all’arte contemporanea, ma che oggi diventano strumenti necessari per rivoluzionare un sistema chiaramente in difficoltà. A trarne beneficio non è solo il collezionista o il gallerista che aderisce alla piattaforma – oggi sono 150 le gallerie internazionali aderenti – ma è anche e soprattutto l’artista, established o emergente.
In questo senso, si potrebbe dire che l’algoritmo dell’app è replicato nella mostra attraverso le scelte creative di Outpump, Docent e delle cinque gallerie coinvolte – nello specifico Martina Simeti, Ciaccia Levi, Spiaggia Libera, MATTA e ArtNoble Gallery – che insieme hanno selezionato gli artisti e le opere da esporre, mettendo in dialogo “nuovi” artisti con un nuovo pubblico. Stiamo parlando di Chloé Quenum, Giovanni Chiamenti, Pietro Fachini, Romane De Watteville, Andrew Norman Wilson, Michele Gabriele, Jack Warne e Max Arnold, che in realtà non sono così nuovi per la scena artistica italiana e internazionale. Pensiamo agli alieni di Michele Gabriele, già visti a New York da Ashes/Ashes, ma anche a Milano a Miart e Cassina Projects. Inconfondibile è lo stile di Max Arnold, che si distingue per le sue grandi tele colorate, o le video-installazioni di Andrew Norman Wilson. Non da meno è il realismo illusorio di Romane De Watteville, che con le sue composizioni trompe-l’œil riesce a spiazzare il pubblico.
Con queste premesse, ci addentriamo nel percorso espositivo, anticipando qualcosa sulle opere in mostra. Secondo le parole di Edoardo Durante, l’esposizione è come «un dialogo tra rappresentazione, metamorfosi e trasformazione». Ogni artista propone una visione ben definita di una sua personale e intima realtà, che può essere del tutto immaginaria, fantascientifica, ispirata al mondo naturale o tecnologico. In ogni caso, «tutti», spiega il curatore, «suggeriscono riflessioni su temi universali come la precarietà della condizione umana, la sospensione del tempo, il confine tra reale e digitale, la tensione tra controllo e caos e la relazione tra dimensione artificiale e naturale». In altre parole, un percorso eterogeneo che, attraverso diverse tecniche tra cui scultura, pittura e video, dà vita a «nuove narrazioni al confine tra fisico, digitale e immaginario collettivo».
Più nel dettaglio, Chloé Quenum propone un video in loop che esplora il concetto di identità e origine attraverso un intreccio di culture e storie, mettendo in discussione il modo in cui interpretiamo oggetti e contesti. Andrew Norman Wilson, invece, affronta l’interazione tra tecnologia e lavoro, esplorando come la percezione della realtà sia mediata da narrazioni digitali. Le sue installazioni spingono a riflettere sul mondo fittizio creato dalla tecnologia moderna. Michele Gabriele, con le sue sculture iperrealistiche, rivela la fragilità della condizione umana in un mondo in cui organico e sintetico si fondono. Le sue opere trasportano l’osservatore in un universo post-tecnologico dove l’umano sembra avere un ruolo marginale. Giovanni Chiamenti, invece, indaga il rapporto tra arte, biotecnologia e chimica, esplorando identità ibride e interazioni interspecie come risposta all’era dell’Antropocene. Pietro Fachini cattura con il suo approccio esplorativo le manifestazioni spontanee della natura in continua metamorfosi. Le sue opere evocano una visione quasi fiabesca dei processi naturali, mentre Jack Warne riflette sulla memoria dell’immagine, stratificando pittura e tecnologia. Le opere di Maximilian Arnold, che fondono astrazione e figurazione, congelano l’effimero nel tempo, sfidando la distinzione tra analogico e digitale. Infine, Romane De Watteville esplora i canoni estetici e gli stereotipi di genere attraverso ritratti che oscillano tra reale e immaginario.
Insomma, se per gli addetti ai lavori non stiamo parlando di nuovi nomi, forse lo sono per un’altra fetta di pubblico, intercettata dalla collaborazione tra Outpump e Docent. A questo punto non resta che andare a scoprire tutte le opere da Dots che dal 31 ottobre al 3 novembre, dalle 11:00 alle 18:30 con accesso libero, ospiterà Docent Dialogues e i dialoghi da essa generati, tra nuove realtà e nuove opportunità di collezionismo.